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Buona parte di noi ha sentito parlare dell’impiego di terriccio da giardinaggio come fondo fertile per gli acquari di acqua dolce. In questo articolo vediamo cos’è e come sceglierlo.


L’idea del fondo in terriccio è nata anche in seguito alla pubblicazione del libro «Ecologia delle piante d’acquario» di Diana Walstad (del quale abbiamo pubblicato degli estratti, oltre ad una intervista all’autrice).
In questo libro Diana Walstad suggerisce che l’impiego di terriccio come fondo naturale risponda in modo ottimale alle esigenze delle piante acquatiche che abitualmente trovano in substrati organici misti a limi e sabbie il naturale collocamento per gli apparati radicali.

L’impiego di tali fondi ha sia dei pregi che degli svantaggi.
Cercheremo di esporli in questo articolo che raccoglie le nostre esperienze in merito per permettere un uso consapevole di questo tipo di fondo.

Prima di occuparci dei terrici da utilizzare in acquario, cercheremo di capire come si genera un terreno (in estrema sintesi) e quali sono le sue proprietà fondamentali (chimico-fisico-biologiche), nonché il ruolo della sostanza organica in tutte queste attività e proprietà.

Origine del terreno

Il terreno naturale è uno strato superficiale della crosta terrestre con spessore variabile a seconda dell’ambiente in cui si è formato e delle condizioni climatiche cui è andato incontro.
Esiste una branca della scienza, la pedologia, che studia il processo di formazione del suolo e le sue proprietà in modo estremamente interdisciplinare, per cercare di conoscerne al meglio tutte le caratteristiche.
Una scienza di questo tipo si trova a dover prendere in considerazione informazioni di mera geologia (ossia lo studio della crosta terrestre), concetti di chimica e, soprattutto, di chimica del suolo, nonché a concetti di tipo biologico. Questo perché il suolo, a differenza di quanto si possa generalmente supporre, è uno degli habitat più influenti per la vita sulla terra.
Quando si pensa al suolo, in genere, si pensa a qualcosa di morto; in realtà è una delle parti più vive del nostro pianeta, senza di esso non esisterebbe la vita come la conosciamo.

Per darvi un’idea dell’importanza del terreno vi faccio un semplice esempio: in quali di questi «posti» pensate ci sia il maggior accumulo di carbonio (C)?

  • Negli organismi viventi (biomassa viva)?
  • Nell’atmosfera (principalmente in forma di anidride carbonica)?
  • Nel suolo (sia in forma organica come nella sostanza organica del suolo che in forma inorganica come nelle rocce carbonatiche)?

La risposta ce la fornisce uno studio del 2004 di R. Lal dal nome Soil Carbon Sequestration Impacts on Global Climate Change and Food Security (Impatto del sequestro di carbonio nel suolo sui cambiamenti climatici globali e sulla sicurezza alimentare).
Questa ricerca fornisce dei dati approssimativi espressi in Pg di C (Petagrammi di carbonio, ossia 1015 g, pari a miliardi di tonnellate).
Il risultato è riportato qui sotto:

Grafico distribuzione del Carbonio
Immagine di dominio pubblico (autore: Artic1)

Come vedete, il C stoccato nella biomassa assieme a quello stoccato nell’atmosfera è circa la metà del carbonio accumulato nel terreno, ed è comunque inferiore rispetto al C accumulato nel terreno in forma organica.

Sembra strano! Il nostro pianeta, visto dallo spazio, sembra blu, verde e con un po’ di giallo nei deserti…

Terra dallo spazio
File di dominio pubblico (NASA)

…ma in realtà, dal punto di vista del carbonio (e quindi della vita) dovrebbe essere principalmente marrone!

È quindi evidente che il terreno riveste un ruolo estremamente importante per la vita.
Vediamo quindi come si origina.

Il suolo nasce con un lunghissimo processo chiamato «pedogenesi» (dal greco: nascita del suolo) durante la quale la roccia, definita «roccia madre», viene erosa e degradata ad opera di agenti atmosferici (pioggia, vento, gelo) o di agenti chimici (l’ossigeno è uno di quelli di maggior rilievo) e biologici (ad esempio i licheni, che riescono a colonizzare anche solo strati estremamente superficiali di rocce).
Con il tempo, in base al clima a cui la roccia è sottoposta, avremo la formazione di strati (detti orizzonti) superficiali che non saranno più coesi come la roccia madre originale.
Si formeranno detriti sempre più piccoli, che evolveranno via via più rapidamente a causa della maggior superficie di contato con l’ambiente esterno.
Si formeranno dapprima dei ghiaioni, composti da pietrame di dimensioni rilevanti; poi si avrà la formazione di sabbie e di frammenti ancora più piccoli, come i limi; in seguito le argille.

Pedogenesi

Avremo così ottenuto un mix dei quattro elementi che compongono ciò che noi definiamo suolo:

  • rocce più grossolane (definite «scheletro»);
  • sabbia;
  • limo;
  • argilla.

La reale composizione del suolo sarà quindi determinata dalla composizione della roccia madre di origine, ma anche dal clima che l’ha alterata.
Climi secchi tendono ad originare più facilmente delle sabbie, perché prevale l’erosione per attrito tra i vari pezzi trasportati dalla forza del vento; invece climi molto piovosi tenderanno a formare un altissimo contenuto di argille, perché la pioggia – con le sue caratteristiche chimiche – tende, nei millenni, a sciogliere la roccia eliminando i composti meno solubili.
Non è un caso che i mari siano salati: il sodio è uno dei composti più facilmente solubili dall’acqua; invece il silicio è tra i meno solubili.

Non va sottovalutata nemmeno la posizione nella quale un suolo si genera.
Un fondovalle alpino è molto più sassoso di una pianura, esattamente come i versanti più ripidi di una montagna sono molto più rocciosi rispetto ad un versante della medesima quota ma con pendenze più delicate.

Si origina quindi un complessissimo mosaico, nel quale ogni fattore influisce a suo modo sulla pedogenesi.

monti
Autore: Artic1; licenza: CC

Basta osservare un’immagine come questa per capire che in pochi metri può cambiare completamente il processo di pedogenesi

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