banner

I pesci… soffrono? Provano dolore e sensazioni spiacevoli? La domanda non è peregrina e il dibattito è aperto. Ecco il nostro contributo.


Cosa sono il dolore e la sofferenza?

È di comune avviso ritenere che il dolore e, più in particolare, la sofferenza siano prerogative dell’uomo e di pochi altri animali evoluti…
gorilla e i pesci?

Non sono animali particolarmente evoluti e, di fatto, vengono spesso trattati alla stregua di oggetti.

Nonostante ciò, molti studiosi si sono posti il problema della percezione del dolore in questi animali ed effettivamente i pesci provano dolore!
Parliamoci chiaro: senza dolore come potrebbe vivere un qualsiasi animale?

Anche noi, senza dolore, probabilmente ci estingueremmo in poco tempo! Basti pensare al fatto che non ci accorgeremmo se ci tagliassimo un dito mentre affettiamo il pane; o che non capiremmo se abbiamo mangiato un elemento avariato!
Insomma, la verità è che il dolore è vitale!

Tornando ai pesci: tra i tanti studiosi, uno in particolare ha redatto un vero e proprio studio scientifico nel quale sostiene che i pesci non possono soffrire.
Si tratta di James Rose che, nel 2002, ha affermato che per i pesci è impossibile sperimentare la paura o il dolore e che quindi non possono soffrire.

Argomentava la sua tesi osservando che i pesci mancano di determinate strutture cerebrali necessarie alla coscienza e alla percezione del dolore.
Riteneva infatti che l’esperienza psicologica del dolore derivi dallo sviluppo della neocorteccia, in particolare del lobo corticale frontale.
Concludeva che la percezione cosciente del dolore è riservata solo agli umani e ai grandi primati, poiché sono gli unici ad avere strutture neocorticali così sviluppate.
Cervello umano Ma allora… le reazioni che osserviamo nei pesci cosa rappresentano?

Rose definisce tali comportamenti come «risposte incoscienti» a stimoli dolorifici o stressogeni.
In altre parole, i pesci rispondono a un elettro-shock (o altro stimolo doloroso) semplicemente con un’alterata frequenza cardiaca/respiratoria e con un nuoto «guizzante».
Ma tale nuoto, visto come dato comportamentale, non differisce molto da quello che si può osservare in un maschio mentre corteggia la femmina.

Per questo motivo il comportamento dei pesci, a suo avviso, è generato da strutture all’interno del tronco cerebrale; e la ridotta dimensione del loro emisfero cerebrale agisce solo come modulatore del comportamento.
In breve, sarebbe semplicemente un grande insieme di azioni stereotipate e invariabili.
Rose mette anche in discussione la capacità associativa e l’apprendimento dei pesci, in quanto funzioni che necessitano di una qualsiasi forma di consapevolezza.

In sostanza, secondo Rose, in assenza di una neocorteccia ben sviluppata i pesci non possono avere una forma di consapevolezza; quindi non possono avere la capacità emotiva di sperimentare dolore o sofferenza.

E cosa dicono i colleghi di Rose?

images
Boh…

In effetti… non sono granché d’accordo.

Innanzitutto bisogna distinguere tra uomo e animale: se per l’uomo il dolore è un’esperienza sia fisica che emotiva, non è detto che sia lo stesso per gli animali. Potrebbe essere un’esperienza priva dell’elemento emotivo.

Secondariamente, bisognerebbe determinare quale capacità ha l’animale di provare sofferenza attraverso la ricerca empirica.

I pesci possono percepire stimoli dolorosi?

Come abbiamo visto, per gli animali in generale esistono dei particolari recettori che hanno il compito di trasmettere il segnale doloroso: i nocicettori.
Sono state scoperte fibre nervose che finivano nella pelle dei pesci e che gli scienziati hanno identificato come nocicettori.

La domanda che dobbiamo porci, quindi, non è se i pesci provano o meno dolore, ma piuttosto che tipo di dolore sperimentano.

Nei vertebrati superiori sono stati identificati due classi di nocicettori associati a diverse fibre nervose:

  1. fibre A delta, che si caratterizzano per una trasmissione veloce del segnale e
  2. fibre C, che sono più lente e più piccole.

Entrambe queste fibre sono state trovate nel nervo trigemino della trota.
Ulteriori studi hanno dimostrato come questi nervi, isolati dalla testa dell’animale, sono in grado di percepire e trasmettere stimoli dolorifici, stimoli pressori, chimici e relativi alla temperatura.
Di fatto, tali nervi e recettori confermano la presenza dei nocicettori e della percezione del dolore da parte del pesce, in quanto dotato sia delle strutture neuroanatomiche sia di quelle neurofisiologiche deputate alla percezione dolorifica.

Diversi esperimenti fatti sulle trote, trattate localmente con acido acetico e veleno di vespa, hanno mostrato un prolungato decremento motivazionale nel nutrirsi e un grande aumento del ritmo opercolare respiratorio; il gruppo di controllo era rappresentato da trote trattate con soluzione fisiologica.

È stato anche osservato come le trote «addolorate» abbiano evidenziato comportamenti anomali, come il dondolarsi a pochi centimetri dal fondo della vasca.

banner

Sono stati inoltre documentati altri comportamenti, come lo sfregarsi il muso nel punto di somministrazione dello stimolo doloroso contro le pareti della vasca, contro gli arredi e/o contro il substrato presente.

tabella dolore sofferenza pesci (A) Tempo medio di ripresa ad alimentarsi, nei vari gruppi (n = 5 per gruppo). Differenza significativa nel tempo impiegato per riprendere l’alimentazione tra i gruppi (F4,20 = 7,29, P = 0,003).
(B) Frequenza media del nuoto eseguita per tutti i gruppi di trattamento. Non c’è differenza tra i gruppi nella quantità di nuoto che hanno eseguito dopo il trattamento (H = 4,94, df = 4, P = 0,085).

tabella dolore sofferenza pesci
(A) Frequenza media del comportamento a dondolo dopo l’iniezione di acido nei gruppi acido e acido-morfina. C’è stata una significativa riduzione dell’oscillazione quando la morfina è stata somministrata (H = 3,84, df = 1, P = 0,05; n = 5 per gruppo).
(B) Frequenza media di sfregamento eseguita dai gruppi acido e acido-morfina. C’era un minor numero di sfregamenti eseguiti dopo la somministrazione di morfina (H = 6,86, df = 1, P = 0,01).

tabella dolore sofferenza pesci La frequenza media delle pulsazioni opercolari dopo il trattamento nei cinque gruppi sperimentali (n = 5 per gruppo).
Il gruppo acido ha avuto un battito opercolare significativamente più alto rispetto agli altri quattro gruppi di trattamento (F4,20 = 27,52, P <0,001).

Avendo trovato i medesimi recettori dolorifici (fibre A delta e fibre C) presenti negli animali più evoluti, è evidente la possibilità che anche i pesci possano provare dolore e sofferenza.
Manca, tuttavia, un’analisi delle capacità cognitive dei pesci.

Le abilità cognitive

Nonostante ci siano pochi studi al riguardo, la comunità scientifica è sempre più convinta che i pesci possano avere una qualche forma di rappresentazione mentale.
Ci sono diverse evidenze che mostrano come i pesci abbiano una spiccata capacità di apprendimento e di memoria.

A tal proposito, nel 2003 è uscito un importante articolo di Lynne U. Sneddon che dimostra diverse similitudini tra primati, uccelli e pesci; soprattutto, i pesci potrebbero possedere la capacità di avere una rappresentazione mentale degli eventi.

Usando quindi la logica di Rose, se i pesci avessero tali capacità mentali, essi avrebbero anche la capacità di provare sofferenza.

Il comportamento, la capacità di apprendimento e la memoria dei pesci, invece che stereotipati e invariabili, si dimostrano molto flessibili, non solo tra specie diverse, ma anche tra popolazioni differenti della stessa specie.
Per esempio, i pesci hanno la capacità di riconoscere e ricordare i propri conspecifici, ma possono anche attribuire loro abilità competitive.

Uno studio di McGregor del 2001 ha dimostrato la capacità dei Betta di mettere in atto un apprendimento osservativo.
L’esperimento consisteva nel permettere a un maschio di Betta di osservare una coppia di altri maschi mentre combattevano.

Tale osservazione ha trasmesso al pesce informazioni riguardo l’abilità di combattimento di entrambi gli altri pesci e queste informazioni sono state usate per modificare il proprio comportamento in occasione di un duello con uno dei due pesci visti precedentemente.
Altri studiosi hanno notato come il pesce «osservatore» fosse meno motivato a ingaggiare un combattimento con l’animale che aveva visto precedentemente battere il rivale; viceversa, era molto più motivato al confronto contro il pesce perdente.

È stato anche dimostrato che le femmine scelgono i maschi non solo sulla base della loro capacità di combattimento, ma anche sulla capacità di ricordare spunti aggiuntivi riferiti ad altri maschi.

Non sono stati studiati solo i Betta, ma anche esemplari di trota iridea.
Queste possiedono abilità cognitive tali da permettere loro di riconoscere un avversario precedentemente affrontato, e, di conseguenza, di modificare il proprio stile di combattimento; oppure di valutare lo stile di combattimento di un nuovo avversario per modificare ancora una volta la propria strategia di attacco.
Trote che osservavano altre trote combattere, infine, modificavano il proprio stile di combattimento in base all’avversario, vincitore o sconfitto nel precedente scontro.

Tutto questo cosa suggerisce? Suggerisce che questi cambi comportamentali implichino che i ricordi debbano essere immagazzinati e usati come chiare rappresentazioni mentali.

Tra le aree più studiate per investigare la cognizione dei pesci c’è quella relativa all’apprendimento spaziale.
Per esempio, diverse specie possono generare una qualche rappresentazione spaziale (una sorta di mappa mentale) che permette loro di creare scorciatoie o di scegliere tra percorsi alternativi per raggiungere un determinato obiettivo. Una delle più importanti illustrazioni dell’uso di una mappa mentale, deriva dal lavoro di Aronson, il quale ha osservato le fughe dei Gobidi di mare.

Thorogobius macrolepis

Egli ha mostrato che i pesci imparano la topografia locale durante l’alta marea in modo che, quando sono intrappolati in una pozza tra le rocce, possano saltare e fuggire in un’altra qualora minacciati.

Solo i pesci che hanno avuto l’occasione di apprendere la topografia della zona durante l’alta marea riescono a saltare nelle giuste pozze per scappare.

Queste complesse capacità cognitive sono evidenti anche in altri pesci teleostei, nonostante i loro cervello e sistema nervoso relativamente semplici.

Nonostante le oggettive differenze tra il cervello dei pesci e quello degli altri animali, recenti studi hanno rivelato come ci siano alcune strutture similari.
Tra queste viene citato il pallio laterale, una struttura simile all’ippocampo presente nei mammiferi e nei volatili.
Tale struttura è associata alla memoria a lungo termine e al proprio posizionamento spaziale.

Dopo quanto abbiamo appreso, quindi, appare chiaro come, anche se in presenza di strutture cerebrali molto semplici e poco complesse, i pesci riescano ad avere la capacità di sperimentare il dolore e la paura e, quindi, la sofferenza.

Se avete altre informazioni su questo particolare argomento vi aspettiamo sul nostro forum Acquariofilia Facile per parlarne.

banner
Articolo precedenteEutanasia – La dolce morte per i nostri pesci
Articolo successivoWabi-kusa