Capisco anche il marsicanoSini ha scritto: ↑Eh, per l'edizione in lingua italiana dovrai aspettare un bel pò...Humboldt ha scritto: ↑Comunque, d'ora in poi ho occhi e orecchie solo per @cicerchia80
A quando il tuo libro Cicé?
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Basta che @roby70 estorce un "Si" a @Saxmax ed è fatta!
Io continuo a ritenere che nella siesta i batteri (dopati o meno dall'ossigeno prodotto nella fotosintesi iniziale) non contino tanto sulla velocità di recupero della CO2; il gioco è comandato dalle piante, che interrompono la richiesta durante l'intervallo mentre ne fanno gran richiesta prima e dopo.
Se non ci fossero per nulla i batteri, nell'intervallo la CO2 risalirebbe comunque da zero e qualcosa a circa 0.6 mg/l (valore all'equilibrio con l'atmosfera), e sarebbe sufficiente meno di un'ora.
In presenza di batteri, risalirà ad esempio da 1 a 5 mg/l, ma saranno necessarie almeno 3-4 ore.
Il grafico quindi non cambia in base alla maturità del fondo, quelle linee traslano solo un po' più in alto in presenza di batteri. Ma la velocità di recupero (che sarebbe la pendenza di quelle curve durante l'intervallo) per me non cambia.
Ho notato che nel grafico postato nell'intervista, i test sono stati effettuati tutti con una siesta di 2 ore e mezza; nel grafico del libro, la siesta è di 4 ore.
Wow! ^:)^
Perle di saggezza dei negozianti: "i juwel sono pronti in 10 giorni, se aspetti troppo l'acquario si siede e devi ricominciare buttando via le piante e l'acqua"
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Sono completamente in disaccordo con questa frase, ma credo che sia stata solo interpretata male... o forse scritta con troppa fretta.
Probabilmente, Diana si riferiva allo studio dell'allelopatia in generale, non al caso specifico dell'acquario.
Un'allestimento "alla Walstad", o se preferite "alla Lorenz", dove l'acqua si cambia ogni morte di papa, è il posto ideale per trarre conclusioni sull'allelopatia.
1 - Prima di tutto, è un ambiente chiuso, dove nulla può entrare o uscire, alterando gli effetti del fenomeno.
In natura, la concentrazione di allelochimici può oscillare significativamente, secondo piogge, siccità, smottamenti, animali erbivori che mangiano certe piante e non altre...
In acquario, invece, resta tutto lì.
2 - Escludendo le specie rare e le cultivar, le comuni piante in commercio sono... quante?... 30-40?... Forse una cinquantina?...
E quante specie si mettono, di solito, nello stesso acquario?... Quattro o cinque?... Sette?... Mi voglio rovinare, arriviamo a dieci.
In natura ce ne possono essere a centinaia, nella stessa palude con la stessa acqua.
Quindi, dove è più facile isolare gli effetti di una pianta su un'altra?
3 - Credo che non esistano, in tutto il mondo, due habitat che contengano la stessa combinazione di specie.
In acquariofilia è invece comunissimo; quanti ce ne saranno, qui dentro, che hanno la solita Rotala, con la solita Limnophila, la solita Hygrophila ed il solito Myriophyllum?
Pertanto, dov'è più produttivo lo scambio di esperienze? In un forum come il nostro, tra noi acquariofili, oppure in un convegno tra ricercatori, che studiano gli habitat naturali?
Per tutti questi motivi, ritengo che sia difficilissimo studiare l'allelopatia in natura. Roba da scienziati con tre lauree, master, laboratori, tecnologie, finanziamenti, lavoro di squadra ed anni di ricerche.
In un acquario, invece, gli effetti sono così evidenti che li vedo pure io.
Appunto!... In natura, pure questo è praticamente impossibile.
Se la Cabomba muore, in natura, perché portata nella palude delle Hygrophila, non possiamo sapere se sono effetti di allelopatia, o più semplicemente perché quelle si fregano tutto il potassio.
In acquario, invece, il potassio ce lo metto artificialmente; sono sicurissimo che non manca mai.
Per un acquariofilo, è molto più facile isolare l'allelopatia dalla competizione alimentare; noi non aspettiamo che una frana sulle Ande rilasci ferro nel Rio Madeira, prendiamo il flacone e buttiamo giù.
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Il ban non lo rischio più.. e poi la traduzione dal cicerchiese all'italiano l'ha fatta Sini, io dall'italiano ad una specie di lingua che sembrava l'inglese e Sax ha aggiustato tutto
Grafico e tabella dell'intervista sono presi da un foglio excel che mi ha mandato in cui ha riportato le misurazioni di quel giorno; in quel momento stava sperimentando il recupero della CO2 e quindi probabilmente ha fatto una siesta minore. Nel libro immagino parli in generale del fotoperiodo e la siesta diventa più lunga non solo per la CO2 ma anche per non favorire le alghe.
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Sini ha scritto: ↑Eh, per l'edizione in lingua italiana dovrai aspettare un bel pò...Humboldt ha scritto: ↑Comunque, d'ora in poi ho occhi e orecchie solo per @cicerchia80
A quando il tuo libro Cicé?
Detto questo.....
Diciamo che non è stata mai interessata dal rapporto pianta pianta...per capire l'abbiamo capita bene
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Questo in parte lo condivido in ragione della discreta "solubilità" della CO2 in acqua (in fin dei conti la CO2 è decisamente più solubile del O2 e N2) e che la CO2 prodotta dal fondo è sempre molto criptica.
Infatti, gli equilibri chimico-fisici che si registrano in acqua sono solo una parte della realtà.
Le piante, i batteri, (ma anche protozoi, e compagnia bella) in quanto organismi viventi selezionano e modificano l'ambiente che li circonda a loro favore (o meglio spesso ci tentano ma non sempre gli va bene).
Circa un mesetto fa, discutendo in un topic del fotoperiodo alla Walstad, scrivevo queste parole:
"Quando la CO2 disciolta in acqua diventa il fattore limitante, le piante si bloccano sempre?
Voi cosa rispondereste?
Io risponderei NI... perchè ci saranno piante che continueranno a organicare CO2 semplicemente perchè ne hanno accumulata parecchia nei tessuti aerenchimatici (le piante acquatiche o semi acquatiche o costrette a vivere per un certo tempo in acqua sviluppano questi spazi ricchi di gas), altre con un buon apparato radicale, oltre ad avere uno sviluppato aerenchima, posso attingere alla CO2 prodotta dai batteri nel fondo (anzi spesso le piante favoriscono l'associazione intima tra radici e batteri in modo da catturare immediatamente la CO2 batterica prodotta), altre ancora come ad esempio l'Egeria densa che in presenza di acque dure la CO2 se la ricava dai carbonati e ci saranno anche piante che appena la CO2 disciolta in acqua finisce o diventa poco accessibile si bloccano"
Pertanto ritengo fondamentale l'apporto del sub strato nell'economia dell'acquario e come già detto "Il fondo fornisce il suo apporto solo se presenta una determinata struttura ed evoluzione nel tempo. E' un po come un filtro, deve maturare, ma è decisamente più complesso e ha molti più attori in gioco"
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"La quantità di ore di luce (naturale o artificiale) rispetto alle ore di buio (fotoperiodo per l'appunto) regola molti meccanismi fisiologici nelle piante ma proprio sulla crescita e la fotosintesi ha meno importanza. Cioè, quasi sempre in natura le ore di luce sono sovrabbondanti rispetto alle reale necessità di crescita delle piante (e alla disponibilità di nutrienti). Quanti di noi hanno le luci accese per meno di 10 ore e hanno acquari con piante bellissime ed esigenti!!!" e aggiungo che molte di queste piante spesso tendono a chiudersi ben prima della fine del fotoperiodo.
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questo secondo me è il passaggio più importante, che molti acquariofilil ignorano . non è nel filtro che avvengono i principali eventi di trasformazione batterica, è nel substrato. ho avuto vasche esageratamente spinte dove tutto era basato sul substrato, senza ausilio dei filtri meccanico-biologici. se recupero qualche foto la posto, devo accendere un vecchio pc dove le ho salvate.Humboldt ha scritto: ↑ritengo fondamentale l'apporto del sub strato nell'economia dell'acquario e come già detto "Il fondo fornisce il suo apporto solo se presenta una determinata struttura ed evoluzione nel tempo. E' un po come un filtro, deve maturare, ma è decisamente più complesso e ha molti più attori in gioco"
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Mai usato a lungo fotoperiodi superiori alle 8/9 ore(continue pero'),,le piante "esigenti" hanno bisogno di spettri adatti,eventualmente(ma non è detto)di potenze maggiori, e di tutto il resto bilanciato,ma di fotoperiodi piu' lunghi non se ne fanno nulla.secondo me.Poi dipende da cosa prendiamo in esame come piante esigenti,per le piante a stelo posso anche essere d'accordo(ma non sono normalmente troppo esigenti),ma si richiudono prima e mutano le colorazioni come reazione,per le altre il fattore limitante è il tipo di luce,non la durata in se'sempre restando nei limiti che consentano loro di completare i processi di fotosintesi.E' solo la mia opinione dettata dalle mie esperienze(poche in verita') con questo genere di piante.
Aggiunto dopo 10 minuti 44 secondi:
Concordo su tutto,tranne che sul punto 2.In natura nelle paludi come nei laghi normalmente ci sono concentrazioni notevoli delle stesse piante,ma le specie presenti non sono poi molte rispetto alla massa d'acqua a disposizione,spesso meno come proporzione di quelle che mettiamo noi in vasca.Rox ha scritto: ↑Sono completamente in disaccordo con questa frase, ma credo che sia stata solo interpretata male... o forse scritta con troppa fretta.
Probabilmente, Diana si riferiva allo studio dell'allelopatia in generale, non al caso specifico dell'acquario.
Un'allestimento "alla Walstad", o se preferite "alla Lorenz", dove l'acqua si cambia ogni morte di papa, è il posto ideale per trarre conclusioni sull'allelopatia.
1 - Prima di tutto, è un ambiente chiuso, dove nulla può entrare o uscire, alterando gli effetti del fenomeno.
In natura, la concentrazione di allelochimici può oscillare significativamente, secondo piogge, siccità, smottamenti, animali erbivori che mangiano certe piante e non altre...
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2 - Escludendo le specie rare e le cultivar, le comuni piante in commercio sono... quante?... 30-40?... Forse una cinquantina?...
E quante specie si mettono, di solito, nello stesso acquario?... Quattro o cinque?... Sette?... Mi voglio rovinare, arriviamo a dieci.
In natura ce ne possono essere a centinaia, nella stessa palude con la stessa acqua.
Quindi, dove è più facile isolare gli effetti di una pianta su un'altra?
3 - Credo che non esistano, in tutto il mondo, due habitat che contengano la stessa combinazione di specie.
In acquariofilia è invece comunissimo; quanti ce ne saranno, qui dentro, che hanno la solita Rotala, con la solita Limnophila, la solita Hygrophila ed il solito Myriophyllum?
Pertanto, dov'è più produttivo lo scambio di esperienze? In un forum come il nostro, tra noi acquariofili, oppure in un convegno tra ricercatori, che studiano gli habitat naturali?
Per tutti questi motivi, ritengo che sia difficilissimo studiare l'allelopatia in natura. Roba da scienziati con tre lauree, master, laboratori, tecnologie, finanziamenti, lavoro di squadra ed anni di ricerche.
In un acquario, invece, gli effetti sono così evidenti che li vedo pure io.
Appunto!... In natura, pure questo è praticamente impossibile.
Se la Cabomba muore, in natura, perché portata nella palude delle Hygrophila, non possiamo sapere se sono effetti di allelopatia, o più semplicemente perché quelle si fregano tutto il potassio.
In acquario, invece, il potassio ce lo metto artificialmente; sono sicurissimo che non manca mai.
Per un acquariofilo, è molto più facile isolare l'allelopatia dalla competizione alimentare; noi non aspettiamo che una frana sulle Ande rilasci ferro nel Rio Madeira, prendiamo il flacone e buttiamo giù.
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Esatto!! Ma quella è una palude che sta lì da secoli, dove l'allelopatia si è già manifestata fino alla conseguenza più estrema: una specie dominante che ha fatto fuori tutte le altre.
Ovviamente, se un team di ricercatori volesse studiare il fenomeno, non va di certo in quel posto lì... perché ormai non c'è più niente da studiare.
Tu devi individuare un terremoto, un'eruzione, o un qualunque fenomeno geologico che produca un avvallamento del terreno. Un ruscello ci porta dell'acqua creando un biòtopo, poi esplode la biodiversità.
A quel punto, è lì che dovresti cercare l'allelopatia, studiando come le varie specie spariscano, una dopo l'altra, fino ad arrivare all'Highlander:
...Ma in natura ci vogliono anni o decenni, in acquario si parla di settimane. E' tutto molto più facile.
Per quanto ne so, gli scienziati incuriositi dal fenomeno hanno fatto proprio come dico io: in natura hanno solo prelevato dei campioni, di piante e di acqua, poi li hanno studiati in vitro.
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