cqrflf ha scritto:Quindi mi resta la domanda di fondo: Cos'ha la natura in più dei nostri acquari per rendere la crescita delle piante così differente ?
E' una domanda interessante, ma ovviamente troppo generale per trovare davvero una risposta. In realtà si "riduce" allo scopo principale dell'ecologia, in particolare dello studio degli ecosistemi acquatici.
E, ovviamente, è una questione che, espressa in termini di "specie" e "condizioni biochimiche" non può prescindere da un problema essenziale: il concetto di specie è una necessità storica della biologia (e il dibattito sul concetto di specie è ancora aperto!), ma non è detto che sia l'entità più adeguata ad essere messa in relazione con i processi evolutivi, che sono poi alla base di ciò che la natura produce spontaneamente e apparentemente senza ostacoli. Impostando il problema in termini di co-evoluzione fra popolazioni e dell'ambiente stesso con queste ultime si giunge ad un'idea di ecosistema complesso come autentico soggetto dell'evoluzione, in un processo che si può analizzare solo con difficoltà in termini più semplici, in particolare ragionando in termini di una sua componente soltanto.
Quest'ultima impostazione prende a modello la fisica (o la chimica) che predilige il ridurre ai minimi termini i sistemi oggetto di studio per descriverne ed essere in grado di riprodurne in modo univoco la dinamica. Tuttavia, quando la fisica si applica a sistemi complessi (lo studio del clima, del cosmo, ...) non può che rimandare il suo approccio riduzionista ad una visione "olistica" con cui deve confrontarsi continuamente.
La complessità dello studio degli ecosistemi - a volte ridicolmente limitati, e apparentemente a portata di mano - non è certamente da meno, in questo senso, di altre branche della "scienza".
Una metafora: ognuno di noi (e mi scuso se in questo "noi" includo "te" e "me", per motivi diversi) è per il proprio acquario non dico una divinità, ma un padre. Ora, non è forse chiaro che la tua domanda si pone esattamente come il dicorso del padre che dice dei propri figli "Ho dato loro tutto, il mio amore e quello di mia moglie, ho dato loro cibo, riparo, financo la pleistescion, e così i miei figli mi ripagano di questo! Di cos'altro hanno bisogno per essere felici in casa mia? Essi sono invece scontenti, rancorosi, desiderosi soltanto di andarsene (e anzi, a volte, che me ne vada io e lasci loro la casa)." ?
Le visioni "miopi" non lo sono in assoluto: anche nel discorso del padre è contenuto un profondo senso, i cui limiti, però, sarà meglio che gli diventino evidenti, se vuole riappacificarsi con i figli e infine con sé stesso. Rimanderà dunque la sua visione riduzionista ad una comprensione di livello più alto, se non dettagliatamente chiara almeno consapevole dell'esistenza di sistemi (sociali e non), dimensioni (culturali e non) ed esigenze e costituzioni (individuali, di gruppo, di popolazione... di specie?) forse inconoscibili, ma da cui non si può prescindere.