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di HCanon » 13/01/2020, 18:42
I primi anni ottanta
Completamente fascinato dal mitico Blade runner, che nel giro di un mese andavo a vedere per ben tre volte, ero ormai diventato un acquariofilo esperto, o almeno così mi piace pensare, tant’è che mi sposavo e… sposato? Che c’entra vi chiederete? Vabbè è tanto per rimarcare che ero diventato anche una persona più assennata.
Tanto assennata che con un amico decidemmo di metterci in affari, concretizzando una semplice e geniale idea: vendere ai negozianti i pesci che riproducevamo.
Fu così che acquistammo dei contenitori di plastica per uso alimentare da ben centocinquanta litri e ci ficcammo dentro un po’ di pesci.
Penso che non sarà difficile intuire come andò a finire, ma un episodio vale la pena di essere raccontato.
Avevamo preso una specie di Ciclidi che non si riusciva a classificare e non sapendone niente, abbastanza ovviamente, non riuscimmo a riprodurli. Che farne? Semplice, si portano in un qualche negozio e si vendono!
Ricordo che rimasi almeno due ore a parlare amabilmente con il proprietario del negozio, peccato che quando ne usci non avevo né i pesci né i soldi. Fui illuminato come San Paolo sulla via di Damasco, e cadendo dalla mia stupidità capii che non ero tagliato per il commercio e, come se non bastasse, il mio amico era anche peggio di me.
Smantellammo così il nostro impianto di riproduzione, anche invogliati dall’entità delle bollette della “luce” che avevamo dovuto pagare.
Ritornai a più miti consigli “limitandomi” a due vasche: il trecento litri, che finalmente munivo di un filtro biologico interno e una vasca usata da quasi duecento litri, la stessa che tuttora utilizzo per i miei Carassi, constatando così che le vasche assemblate con il silicone possono “reggere” almeno quarant’anni e poi chissà per quanto tempo ancora.
Nota tecnica, in quel tempo si utilizzava anche per l’assemblaggio di vasche grandi il silicone trasparente.
Allevai diversi tipi di pesci, anche se in particolar modo la mia passione continuavano e essere Ciclidi, tipo Cichlasoma nigrofasciatus (oggi Amatitlania) e Pelvicachromis pulcher. I primi riuscii a riprodurli, i secondi no.
Per un po’ mi cimentai anche con le tartarughine palustri, le Trachemys scripta elegans, e per garantirgli un idoneo sviluppo del carapace comprai loro quella che all’epoca era la principessa delle lampade per acquario: la costosissima True light. Anche in questo caso fu l’esperienza diretta ad insegnarmi che, per quanto simpatiche, le tartarughe palustri non erano e non sono adatte ad un acquario domestico. Così anche loro andarono ad “arricchire” la fauna acquatica dello zoo di Torino.
Continua...