Impianto Osmosi per dolce e marino: le differenze
Inviato: 24/09/2017, 13:09
Come spesso accade, è dall'osservazione della natura che dobbiamo capire le differenze.
La stragrande maggioranza delle specie (piante, pesci o invertebrati) che teniamo in acquario dolce, in natura vivono spesso in piccole paludi, laghetti, pozze di acqua piovana, piccoli avvallamenti riempiti periodicamente da un fiume lì vicino.
Alcuni si dedicano addirittura ai Killifish monsonici, il cui habitat si prosciuga completamente nella stagione secca, per poi allagarsi di nuovo all'inizio dei temporali.
Quei biotopi sono soggetti a variazioni enormi di tutto, non è solo una questione di sali disciolti.
Pensiamo a cosa accade alla temperatura, in quel mezzo metro d'acqua, quando ci batte il sole del Brasile. Pensiamo ad un grosso mammifero morto, che si decompone in quella palude.
Animali e vegetali si sono adattati a tali sbalzi, talvolta repentini, su qualsiasi valore dell'ambiente in cui vivono (salvo casi particolari). L'acqua è quasi sempre stagnante, altrimenti non potrebbe viverci una Cabomba, o addirittura una galleggiante.
Se invece andiamo su una barriera corallina, anche se sembra limitata come area, troviamo un acqua diluita da tutto l'oceano circostante, per migliaia di kilometri di estensione e 4-5mila metri di profondità (il famoso "salto nel blu" di Nemo).
Nemmeno la "balena in putrefazione" di fantozziana memoria darebbe luogo a grossi problemi, perché il costante moto ondoso produce un mescolamento continuo di tutta la massa liquida.
Il risultato è che le specie non sono adattate all'instabilità dei valori, perché non ne hanno mai avuto bisogno.
Quando hai solo un contenitore di vetro, da 100-200 litri, nello spazio consentito da un angolo del salotto, l'acquario dolce ti consente di simulare un laghetto del Venezuela, con un minimo di cervello nelle scelte e nell'impostazione... Ma l'acquario marino non può simulare l'Oceano Indiano, non senza ricorrere ad una montagna di tecnologie artificiali.
Per quanto riguarda il "discus selezionato", che ho sentito nominare varie volte, la difficoltà è proprio la stessa che si ha nel marino.
Quel pesce non viene più dalla varzèa amazzonica, dove lo ha messo Madre Natura; viene da allevamenti supercontrollati dove è stato riprodotto per decine di generazioni, isolando la livrea più accattivante o le pinne più lunghe. Lì dentro suona l'allarme antincendio ad ogni decimale di pH; se i nitrati vanno sopra 10 mg arrivano i Pompieri, la Polizia e la Protezione Civile.
Quei pesci sono considerati "difficili" e richiedono un sacco di attenzioni (e soldi) proprio perché... li abbiamo fatti diventare come quelli dell'acquario marino.
La stragrande maggioranza delle specie (piante, pesci o invertebrati) che teniamo in acquario dolce, in natura vivono spesso in piccole paludi, laghetti, pozze di acqua piovana, piccoli avvallamenti riempiti periodicamente da un fiume lì vicino.
Alcuni si dedicano addirittura ai Killifish monsonici, il cui habitat si prosciuga completamente nella stagione secca, per poi allagarsi di nuovo all'inizio dei temporali.
Quei biotopi sono soggetti a variazioni enormi di tutto, non è solo una questione di sali disciolti.
Pensiamo a cosa accade alla temperatura, in quel mezzo metro d'acqua, quando ci batte il sole del Brasile. Pensiamo ad un grosso mammifero morto, che si decompone in quella palude.
Animali e vegetali si sono adattati a tali sbalzi, talvolta repentini, su qualsiasi valore dell'ambiente in cui vivono (salvo casi particolari). L'acqua è quasi sempre stagnante, altrimenti non potrebbe viverci una Cabomba, o addirittura una galleggiante.
Se invece andiamo su una barriera corallina, anche se sembra limitata come area, troviamo un acqua diluita da tutto l'oceano circostante, per migliaia di kilometri di estensione e 4-5mila metri di profondità (il famoso "salto nel blu" di Nemo).
Nemmeno la "balena in putrefazione" di fantozziana memoria darebbe luogo a grossi problemi, perché il costante moto ondoso produce un mescolamento continuo di tutta la massa liquida.
Il risultato è che le specie non sono adattate all'instabilità dei valori, perché non ne hanno mai avuto bisogno.
Quando hai solo un contenitore di vetro, da 100-200 litri, nello spazio consentito da un angolo del salotto, l'acquario dolce ti consente di simulare un laghetto del Venezuela, con un minimo di cervello nelle scelte e nell'impostazione... Ma l'acquario marino non può simulare l'Oceano Indiano, non senza ricorrere ad una montagna di tecnologie artificiali.
Per quanto riguarda il "discus selezionato", che ho sentito nominare varie volte, la difficoltà è proprio la stessa che si ha nel marino.
Quel pesce non viene più dalla varzèa amazzonica, dove lo ha messo Madre Natura; viene da allevamenti supercontrollati dove è stato riprodotto per decine di generazioni, isolando la livrea più accattivante o le pinne più lunghe. Lì dentro suona l'allarme antincendio ad ogni decimale di pH; se i nitrati vanno sopra 10 mg arrivano i Pompieri, la Polizia e la Protezione Civile.

Quei pesci sono considerati "difficili" e richiedono un sacco di attenzioni (e soldi) proprio perché... li abbiamo fatti diventare come quelli dell'acquario marino.