Breve ma ambiziosa storia di un acquariofilo
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Breve ma ambiziosa storia di un acquariofilo
I secondi anni ottanta
Mentre leggevo il nuovo fumetto della Bonelli, Dylan Dog, e tremavo per i mostri reali del disastro di Chernobyl, causa vari traslochi riducevo la mia dotazione di acquari al solo vascone da trecento litri.
In quel periodo accarezzai lungamente l’idea di allevare i Discus, gli indiscussi principi degli acquari di acqua dolce, il sogno di ogni appassionato dell’epoca, ma non mi decisi in tempo: mi prese il drizzone per il marino.
Quando ne parlai ad Andriolo, il mio negoziante di fiducia, gli si illuminarono gli occhi e mi parlò, quasi con fare da cospiratore, di una novità per il filtraggio degli acquari marini, che era da poco arrivata, non so bene da dove, chiamata “Sabbia viva”. Per quanta stima avessi per il mio amico negoziante non ne rimasi convinto e abbozzai. Tale sistema era tipo quello che oggi chiamiamo Deep Sand Bed. Dico tipo, perché se ho capito bene il funzionamento del DSB, la sabbia viva abbisognava anche di un filtro sottosabbia.
Rimasi sul più classico e collaudato filtro biologico interno, senza neanche ricorrere allo schiumatoio, per allestire così un marino tropicale nel quale far convivere i famosi pesci Pagliaccio (Amphiprion ocellaris), con il loro anemone ospite, oltre a qualche altro pesce ed invertebrato che non ricordo bene.
Ma anche il marino tropicale mi andava stretto e fu così che finalmente approdai al più stimolante degli acquari: il “Mediterraneo”.
Incominciai a trascorrere i miei weekend nelle località marittime della Liguria, gironzolando sugli scogli sia sotto il cocente sole estivo che con le più miti temperature primaverili, munito di retini, sacchetti e secchio, per raccogliere pietre incrostate da micro organismi, paguri, alghe, gamberetti (Palaemon), magari qualche bavosetta rimasta intrappolata in una pozza con la bassa marea.
Nei siti con l’acqua più pulita riuscivo anche a trovare gli splendidi Pomodori di mare (Actinia equina).
Inoltre, avevo scoperto che il molo di una delle località più “in” d’Italia, Portofino, era pieno di anemoni e altri pescetti. Era troppo bello, dopo aver mangiato un pezzo della favolosa focaccia ligure, incurante dei “raffinati” turisti che popolavano la raffinata località, andavo a sdraiarmi sul bordo del molo munito del mio immancabile secchio a cercare di raccogliere qualche interessante organismo.
Anche apneista in un metro d’acqua mi ero improvvisato per andare a “caccia” di Bavose e Ghiozzi. Devo dire che fu il momento più divertente della mia carriera d’acquariofilo.
La vita a volte è un po’ strana, cade il “Muro di Berlino” e siamo tutti convinti che più niente fermerà il futuro, ed io, mentre gongolavo con il mio “Mediterraneo”, mi stavo apprestando a vivere un altro esaltante capitolo del mio hobby, purtroppo l’ultimo di quegli anni.
Continua...
Aggiunto dopo 18 minuti 8 secondi:
Mentre leggevo il nuovo fumetto della Bonelli, Dylan Dog, e tremavo per i mostri reali del disastro di Chernobyl, causa vari traslochi riducevo la mia dotazione di acquari al solo vascone da trecento litri.
In quel periodo accarezzai lungamente l’idea di allevare i Discus, gli indiscussi principi degli acquari di acqua dolce, il sogno di ogni appassionato dell’epoca, ma non mi decisi in tempo: mi prese il drizzone per il marino.
Quando ne parlai ad Andriolo, il mio negoziante di fiducia, gli si illuminarono gli occhi e mi parlò, quasi con fare da cospiratore, di una novità per il filtraggio degli acquari marini, che era da poco arrivata, non so bene da dove, chiamata “Sabbia viva”. Per quanta stima avessi per il mio amico negoziante non ne rimasi convinto e abbozzai. Tale sistema era tipo quello che oggi chiamiamo Deep Sand Bed. Dico tipo, perché se ho capito bene il funzionamento del DSB, la sabbia viva abbisognava anche di un filtro sottosabbia.
Rimasi sul più classico e collaudato filtro biologico interno, senza neanche ricorrere allo schiumatoio, per allestire così un marino tropicale nel quale far convivere i famosi pesci Pagliaccio (Amphiprion ocellaris), con il loro anemone ospite, oltre a qualche altro pesce ed invertebrato che non ricordo bene.
Ma anche il marino tropicale mi andava stretto e fu così che finalmente approdai al più stimolante degli acquari: il “Mediterraneo”.
Incominciai a trascorrere i miei weekend nelle località marittime della Liguria, gironzolando sugli scogli sia sotto il cocente sole estivo che con le più miti temperature primaverili, munito di retini, sacchetti e secchio, per raccogliere pietre incrostate da micro organismi, paguri, alghe, gamberetti (Palaemon), magari qualche bavosetta rimasta intrappolata in una pozza con la bassa marea.
Nei siti con l’acqua più pulita riuscivo anche a trovare gli splendidi Pomodori di mare (Actinia equina).
Inoltre, avevo scoperto che il molo di una delle località più “in” d’Italia, Portofino, era pieno di anemoni e altri pescetti. Era troppo bello, dopo aver mangiato un pezzo della favolosa focaccia ligure, incurante dei “raffinati” turisti che popolavano la raffinata località, andavo a sdraiarmi sul bordo del molo munito del mio immancabile secchio a cercare di raccogliere qualche interessante organismo.
Anche apneista in un metro d’acqua mi ero improvvisato per andare a “caccia” di Bavose e Ghiozzi. Devo dire che fu il momento più divertente della mia carriera d’acquariofilo.
La vita a volte è un po’ strana, cade il “Muro di Berlino” e siamo tutti convinti che più niente fermerà il futuro, ed io, mentre gongolavo con il mio “Mediterraneo”, mi stavo apprestando a vivere un altro esaltante capitolo del mio hobby, purtroppo l’ultimo di quegli anni.
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Breve ma ambiziosa storia di un acquariofilo
I secondi anni ottanta (seconda parte)
Mi trovavo al molo di Riva Trigoso, a due passi dalla più nota Sestri Levante, impegnato nelle mie solite ricerche acquatiche, quando ti vedo emergere un sommozzatore con un sacco di rete pieno di piccoli polpi. Notai che almeno uno era sicuramente ancora vivo e così convinsi la mia consorte a chiedergliene uno in regalo.
Si delegai l’incombenza alla mia consorte, perché a me il “coraggio” non ha mai fatto difetto.
Il povero sub, pur controvoglia, non ebbe l’ardire di rifiutarsi e così, con la felicità alle stelle, mi portavo a casa una leggenda, un piccolo Kraken.
Certo, ero consapevole che stavo per introdurre nella mia vasca già popolata da pesci, paguri, gamberetti, qualche bivalve e una stella marina, un super predatore. Però pensavo: è piccolino, con un’apertura tentacolare di una quindicina di centimetri e soprattutto è ferito, cosa potrà mai fare?
Ecco, avevo fornito al mio nuovo ospite mangime fresco per un paio di giorni. Nel giro di pochissimo tempo aveva divorato tutti i coinquilini, risparmiando solo la stella di mare, poiché, nonostante i suoi molti tentativi, si era rivelata troppo coriacea e pungente.
Il tentacolare amico non era il comune Octopus vulgaris, ma un Octopus macropus, comunemente chiamato Polpessa, poiché erroneamente ritenuto la femmina del classico Polpo.
Tenni il Cephalopode per un intero anno. I primi tempi si era scavato una tana che richiudeva con un sasso, poi, quando capì che non c’erano pericoli, l’abbandonò. A volte, se colto di sorpresa da qualche evento esterno alla vasca, sparava anche la famosa nube d’inchiostro, ma niente di particolarmente oscurante.
Ovviamente non esisteva più un arredamento, ogni singolo sasso, anche i più grossi, era stato spostato e rispostato più volte.
Lo “stronz…to”, inoltre, aveva preso una discutibile abitudine: essendo un abitante delle nostre acque e dovendo quindi evitare che la temperatura salisse, tenevo i coperchi della vasca parzialmente aperti, ma poiché conoscevo la propensione del nostro amico a farsi delle belle “passeggiate” fuori dall’acquario, mi ero premunito di porci sopra una griglia. E allora lui che faceva? Si andava ad attaccare proprio alla griglia e incomincia a spruzzare acqua un po’ dappertutto. E vabbè, direte voi, che sarà mai? Niente di che in effetti, se non che l’acqua marina ha un discutibile rapporto con l’impianto elettrico, così anche di notte, quando il timer spegneva le luci, le lampade della vasca mantenevano un leggera e inquietante fluorescenza. Una vera e propria sedia elettrica.
Per effettuare piccoli aggiustamenti all’interno della vasca, avevo preso delle lunghe pinze di legno, che ormai non servivano più allo scopo originario, visto che non c’era più niente da sistemare in vasca. Erano però diventate un bel trastullo per l’amico polpo. Le introducevo in acqua e lui subito ci si avventava contro cercando di strapparmele via. Confesso, non ho mai avuto il coraggio di fare lo stesso giochetto con la mano.
Quando arrivò l’estate successiva il Polpo aveva raggiunto la considerevole apertura tentacolare di un metro e quando si attaccava al vetro frontale ne copriva quasi interamente la superfice.
Troppo grande per la mia vasca, così, pur a malincuore, dovetti restituirlo al mare, con l’angoscia che, ormai abituato alla vista dell’uomo, potesse nuovamente cadere facile preda di un qualche pescatore subacqueo.
Continua...
Mi trovavo al molo di Riva Trigoso, a due passi dalla più nota Sestri Levante, impegnato nelle mie solite ricerche acquatiche, quando ti vedo emergere un sommozzatore con un sacco di rete pieno di piccoli polpi. Notai che almeno uno era sicuramente ancora vivo e così convinsi la mia consorte a chiedergliene uno in regalo.
Si delegai l’incombenza alla mia consorte, perché a me il “coraggio” non ha mai fatto difetto.
Il povero sub, pur controvoglia, non ebbe l’ardire di rifiutarsi e così, con la felicità alle stelle, mi portavo a casa una leggenda, un piccolo Kraken.
Certo, ero consapevole che stavo per introdurre nella mia vasca già popolata da pesci, paguri, gamberetti, qualche bivalve e una stella marina, un super predatore. Però pensavo: è piccolino, con un’apertura tentacolare di una quindicina di centimetri e soprattutto è ferito, cosa potrà mai fare?
Ecco, avevo fornito al mio nuovo ospite mangime fresco per un paio di giorni. Nel giro di pochissimo tempo aveva divorato tutti i coinquilini, risparmiando solo la stella di mare, poiché, nonostante i suoi molti tentativi, si era rivelata troppo coriacea e pungente.
Il tentacolare amico non era il comune Octopus vulgaris, ma un Octopus macropus, comunemente chiamato Polpessa, poiché erroneamente ritenuto la femmina del classico Polpo.
Tenni il Cephalopode per un intero anno. I primi tempi si era scavato una tana che richiudeva con un sasso, poi, quando capì che non c’erano pericoli, l’abbandonò. A volte, se colto di sorpresa da qualche evento esterno alla vasca, sparava anche la famosa nube d’inchiostro, ma niente di particolarmente oscurante.
Ovviamente non esisteva più un arredamento, ogni singolo sasso, anche i più grossi, era stato spostato e rispostato più volte.
Lo “stronz…to”, inoltre, aveva preso una discutibile abitudine: essendo un abitante delle nostre acque e dovendo quindi evitare che la temperatura salisse, tenevo i coperchi della vasca parzialmente aperti, ma poiché conoscevo la propensione del nostro amico a farsi delle belle “passeggiate” fuori dall’acquario, mi ero premunito di porci sopra una griglia. E allora lui che faceva? Si andava ad attaccare proprio alla griglia e incomincia a spruzzare acqua un po’ dappertutto. E vabbè, direte voi, che sarà mai? Niente di che in effetti, se non che l’acqua marina ha un discutibile rapporto con l’impianto elettrico, così anche di notte, quando il timer spegneva le luci, le lampade della vasca mantenevano un leggera e inquietante fluorescenza. Una vera e propria sedia elettrica.
Per effettuare piccoli aggiustamenti all’interno della vasca, avevo preso delle lunghe pinze di legno, che ormai non servivano più allo scopo originario, visto che non c’era più niente da sistemare in vasca. Erano però diventate un bel trastullo per l’amico polpo. Le introducevo in acqua e lui subito ci si avventava contro cercando di strapparmele via. Confesso, non ho mai avuto il coraggio di fare lo stesso giochetto con la mano.
Quando arrivò l’estate successiva il Polpo aveva raggiunto la considerevole apertura tentacolare di un metro e quando si attaccava al vetro frontale ne copriva quasi interamente la superfice.
Troppo grande per la mia vasca, così, pur a malincuore, dovetti restituirlo al mare, con l’angoscia che, ormai abituato alla vista dell’uomo, potesse nuovamente cadere facile preda di un qualche pescatore subacqueo.
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Breve ma ambiziosa storia di un acquariofilo
Gli anni novanta
Gli anni 90 iniziano male, scoppia la guerra del Golfo Persico, poco dopo però Tim Berners-Lee “inventa” il WEB (da non confondersi con Internet) e la conoscenza sembra non avere più confini. Ed io, almeno da un punto di vista acquariofilo, cado in un sonno letargico.
Si può dire che non ho ricordi di quegli anni. Sì, abbandonai il marino, mi richiedeva troppo impegno, ma cosa tenessi nella mia vasca mi è oscuro.
Ricordo solo, quando tornai a Torino, sì perché ero anche stato via dalla mia città natale per circa tre anni, che volli dare un’occhiata ai negozi d’acquari che mi avevano accompagnato lungo il percorso del mio hobby.
Forse avrei dovuto lasciar perdere, forse avrei dovuto rendermi conto gradualmente di cosa era successo, di quanto quel mio mondo nato da un sogno amazzonico si fosse dissolto all’ombra di uno strano progresso che sembrava divorare tutte le speranze di un mondo migliore.
Non ricordo esattamente l’anno, ma Andriolo, il mio negoziante amico, moriva. I vecchi “criminali” di via Luigi Cibrario, sì proprio quelli che mi avevano rifilato l’Astronotus, avevano chiuso. Il salotto di Torino, così veniva chiamato il negozio di acquari di via Sacchi, non c’era più. E quel serraglio improbabile di piazza Vittorio, ove si poteva trovare di tutto, anche lui chiudeva. Via Ormea? Chissà dov’era finito. Resisteva ancora per un po’ Acquario Moderno di corso Regina, ovviamente adesso è chiuso anche lui. In via Botero c’era il commerciante al quale avevo cercato di vendere infruttuosamente i miei pescetti; boh, ne ho perso traccia. Lo ZOO, lo zoo con le sue magnifiche vasche aveva già chiuso i battenti, lasciando solo tracce di grigio cemento.
Sì è strano, ma l’immagine che più mi sale alla mente è “Il deserto dei Tartari”.
Così, sempre avviluppato in uno strano torpore, giungevo alla fine del millennio.
Quindici anni del 2000
Probabilmente una serie di dissesti personali, poi anche il fatto che i miei figlioli stavano praticando l’altra mia grande passione, il ciclismo, ma precipitai nella demenza acquariofila.
Ero diventato paranoico, temevo che il mio vascone da trecento litri, che ritenevo ormai vecchio, esplodesse inondandomi la testa di incubi.
E qui compii la prima stupidaggine. Lo svuotai, lo ripulii ben bene e lo dedicai all'allevamento dei Criceti. Vi prego, amici acquariofili, perdonatemi!
Ma non bastava, il livello della mia perdizione non si voleva fermare e complice un ennesimo trasferimento buttai via il mio acquario, l’acquario che mi aveva costruito l’amico Andriolo, l’acquario che mi aveva accompagnato per anni e anni.
…fatti non foste a viver come bruti…
E io proprio abbrutito mi ero!
Dovrò aspettare ben tre lustri per risvegliarmi dal sonno letargico.
Continua... per l'ultima puntata di questa breve, forse non tanto, storia.
Gli anni 90 iniziano male, scoppia la guerra del Golfo Persico, poco dopo però Tim Berners-Lee “inventa” il WEB (da non confondersi con Internet) e la conoscenza sembra non avere più confini. Ed io, almeno da un punto di vista acquariofilo, cado in un sonno letargico.
Si può dire che non ho ricordi di quegli anni. Sì, abbandonai il marino, mi richiedeva troppo impegno, ma cosa tenessi nella mia vasca mi è oscuro.
Ricordo solo, quando tornai a Torino, sì perché ero anche stato via dalla mia città natale per circa tre anni, che volli dare un’occhiata ai negozi d’acquari che mi avevano accompagnato lungo il percorso del mio hobby.
Forse avrei dovuto lasciar perdere, forse avrei dovuto rendermi conto gradualmente di cosa era successo, di quanto quel mio mondo nato da un sogno amazzonico si fosse dissolto all’ombra di uno strano progresso che sembrava divorare tutte le speranze di un mondo migliore.
Non ricordo esattamente l’anno, ma Andriolo, il mio negoziante amico, moriva. I vecchi “criminali” di via Luigi Cibrario, sì proprio quelli che mi avevano rifilato l’Astronotus, avevano chiuso. Il salotto di Torino, così veniva chiamato il negozio di acquari di via Sacchi, non c’era più. E quel serraglio improbabile di piazza Vittorio, ove si poteva trovare di tutto, anche lui chiudeva. Via Ormea? Chissà dov’era finito. Resisteva ancora per un po’ Acquario Moderno di corso Regina, ovviamente adesso è chiuso anche lui. In via Botero c’era il commerciante al quale avevo cercato di vendere infruttuosamente i miei pescetti; boh, ne ho perso traccia. Lo ZOO, lo zoo con le sue magnifiche vasche aveva già chiuso i battenti, lasciando solo tracce di grigio cemento.
Sì è strano, ma l’immagine che più mi sale alla mente è “Il deserto dei Tartari”.
Così, sempre avviluppato in uno strano torpore, giungevo alla fine del millennio.
Quindici anni del 2000
Probabilmente una serie di dissesti personali, poi anche il fatto che i miei figlioli stavano praticando l’altra mia grande passione, il ciclismo, ma precipitai nella demenza acquariofila.
Ero diventato paranoico, temevo che il mio vascone da trecento litri, che ritenevo ormai vecchio, esplodesse inondandomi la testa di incubi.
E qui compii la prima stupidaggine. Lo svuotai, lo ripulii ben bene e lo dedicai all'allevamento dei Criceti. Vi prego, amici acquariofili, perdonatemi!
Ma non bastava, il livello della mia perdizione non si voleva fermare e complice un ennesimo trasferimento buttai via il mio acquario, l’acquario che mi aveva costruito l’amico Andriolo, l’acquario che mi aveva accompagnato per anni e anni.
…fatti non foste a viver come bruti…
E io proprio abbrutito mi ero!
Dovrò aspettare ben tre lustri per risvegliarmi dal sonno letargico.
Continua... per l'ultima puntata di questa breve, forse non tanto, storia.
- cqrflf
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Breve ma ambiziosa storia di un acquariofilo
Grazie mille, tanti ricordi, anch'io negli anni 90 fino al 2015 avevo completamente abbandonato l'acquariofilia, cambiato case varie, nazione ecc.
Viaggiai per giorni e notti per paesi lontani.
Molto spesi per vedere alti monti, grandi mari....e non avevo occhi per vedere a due passi da casa la goccia di rugiada sulla spiga di grano.
Molto spesi per vedere alti monti, grandi mari....e non avevo occhi per vedere a due passi da casa la goccia di rugiada sulla spiga di grano.
- marko66
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Io no,tranne un breve periodo ad inizio anni 90 ero in piena attivita' col mio acquario da 200lt(che andava avanti quasi da solo) ed alla fine di quel decennio ho cominciato ad interessarmi ai ciclidi del Malawi,i primi pesci ricevuti via posta…..
Una rivoluzione per uno abituato a prenderli nei negozi e correre a casa(preferisco ancora oggi questo sistema alle spedizioni cmq).Il mio fornitore da allora ha cominciato ad essere un grossista del Pinerolese da cui mi fornisco tutt'oggi.


- HCanon
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Ma pensi che abbia Macropodus femmina? Ormai sono mesi che non ne trovo traccia

- marko66
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Letto tutto d'un fiato....ora attendo l'epilogo. Bellissimo! Conforta sapere che tanti hanno cominciato da un umile 30 litri.





- HCanon
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Avevo promesso che questa sarebbe stata l'ultima puntata, ma è venuta più lunga del previsto, non è colpa mia
quindi devo dividerla in due parti, portate pazienza.
Anno 2016, il ritorno
Ancora un cambio di casa, ma questa volta per tornare nel quartiere della mia gioventù. Forse fu proprio questo ritorno alle strade che mi avevano visto crescere che generò in me la voglia di dedicarmi nuovamente allo splendido gioco dell’acquariofilia.
Dovete sapere che alla mia “compagna” piace girare per i mercatini delle pulci, passatempo al quale avevo sempre cercato di sottrarmi. Così non fu poco lo stupore della mia “dolce metà” quando mi offrii di accompagnarla, senza le solite resistenze, da uno di questi rigattieri. In realtà volevo iniziare ad indagare, senza dare troppo nell’occhio, sull’eventuale presenza di acquari e di quale potesse essere il loro prezzo. Non vidi niente di convincente, solo piccole vaschette non molto ben tenute.
Stavo già iniziando a demordere dalla ricerca di un acquario, senonché il destino aveva già sancito il ritorno al mio antico interesse. Fu il mio vecchio amico, quello con il quale in gioventù avevamo cercato di vendere i pesci che riproducevamo, a ricordarmi che aveva conservato la vecchia vasca da duecento litri, proprio quella dei primi anni ottanta. Me ne ero completamente dimenticato, so solo che una lieve emozione iniziò a scorrermi sotto pelle: potevo tornare a costruire piccoli mondi acquatici.
C’era un problema, la vasca era rimasta vuota, per un numero imprecisato di anni, in una cantina con temperature invernali non molto distanti dallo zero. Avrebbe tenuto ancora?
C’era un solo modo di scoprirlo: il mio amico la riempì d’acqua e la lasciò nel buio della cantina per una settimana. Quando mi telefonò, dicendo che non aveva perso neanche una goccia, feci capriole di gioia, interiori ovviamente.
Devo dire che la gioia a volte è un po’ faticosa, visto che il contenitore di “sogni acquatici” era decisamente zozzino e ripulirlo, pur con l’aiuto della mia compagna, non fu cosa da poco.
Anche portarlo a casa, io “fortunatamente” abito al terzo piano senza ascensore, pur con l’aiuto dei miei nerboruti figlioli e di qualche bestemmia, fu un’esperienza poco gradevole.
Ancora non avevamo finito di trovargli una sistemazione provvisoria che già la domanda delle domande invadeva la mia mente: quali pesci prendere?
Rispetto agli anni dai quali arrivavo, come acquariofilo intendo, il mondo era cambiato, il WEB era diventato un immenso archivio di dati fruibili da tutti, anche per gli appassionati di pesci.
Viste le mie tendenze integraliste fui subito attirato da un sito molto “moraleggiante”, “Acquariofilia consapevole”, che riuscì a rinfocolare il senso di colpa per gli atteggiamenti spesso superficiali che avevo avuto nel passato con gli amici pinnati.
Così decisi, come per espiare, che avrei allevato il più bistrattato dei nostri ospiti, il Carassius auratus, meglio conosciuto come pesce rosso.
Allestii la vasca, ma ero preoccupato che, vecchia com’era, non reggesse a lungo la pressione dell’acqua, e allora, per ridurre i rischi, decisi di riempirla solo per 32 centimetri di altezza in luogo dei 40 potenziali.
Ma come ben sapete la stupidità umana, o almeno di alcuni umani, è pressoché infinita, perché dopo tanta prudenza posta per la colonna d’acqua, collocai la vasca su una scrivania, stile moderno, con “gambette” sottili sottili, non certo adatta a sopportare un peso così elevato.
Fortunatamente, pur rimanendo su quell’appoggio instabile per due anni abbondanti, non successe mai niente di irreparabile.
Poi, non pago di come avessi già donato favori alla dea della bischeraggine, dovendo recuperare il tempo perduto, decisi di popolare la vasca dopo una sola settimana di maturazione. Miei cari lettori, siete diffidati dall’esprimere giudizi sulla mia condotta.
Causa la rarefazione dei negozi d’acquari, per l’acquisto dei pescetti rossi mi recai in un grande centro commerciale naturalistico, Viridea. Volevo prendere dei normalissimi Carassi, ma era disponibile solo la varietà Cometa, e io, pur di non tornare a casa a mani vuote, acquistai quattro esemplari con la coda di dimensioni normali.
Trascorsero così due anni in cui mi limitai a trattare i miei rossi il meglio possibile, ma senza ancora rendermi conto che il mondo dell’acquariofilia era cambiato, eccome se era cambiato.
Solo un episodio ruppe la monotonia di quel periodo. Una mia collega, appassionata di viaggi esotici, involontariamente divenne il tramite di una esperienza abbastanza insolita.
Continua e finisce

Anno 2016, il ritorno
Ancora un cambio di casa, ma questa volta per tornare nel quartiere della mia gioventù. Forse fu proprio questo ritorno alle strade che mi avevano visto crescere che generò in me la voglia di dedicarmi nuovamente allo splendido gioco dell’acquariofilia.
Dovete sapere che alla mia “compagna” piace girare per i mercatini delle pulci, passatempo al quale avevo sempre cercato di sottrarmi. Così non fu poco lo stupore della mia “dolce metà” quando mi offrii di accompagnarla, senza le solite resistenze, da uno di questi rigattieri. In realtà volevo iniziare ad indagare, senza dare troppo nell’occhio, sull’eventuale presenza di acquari e di quale potesse essere il loro prezzo. Non vidi niente di convincente, solo piccole vaschette non molto ben tenute.
Stavo già iniziando a demordere dalla ricerca di un acquario, senonché il destino aveva già sancito il ritorno al mio antico interesse. Fu il mio vecchio amico, quello con il quale in gioventù avevamo cercato di vendere i pesci che riproducevamo, a ricordarmi che aveva conservato la vecchia vasca da duecento litri, proprio quella dei primi anni ottanta. Me ne ero completamente dimenticato, so solo che una lieve emozione iniziò a scorrermi sotto pelle: potevo tornare a costruire piccoli mondi acquatici.
C’era un problema, la vasca era rimasta vuota, per un numero imprecisato di anni, in una cantina con temperature invernali non molto distanti dallo zero. Avrebbe tenuto ancora?
C’era un solo modo di scoprirlo: il mio amico la riempì d’acqua e la lasciò nel buio della cantina per una settimana. Quando mi telefonò, dicendo che non aveva perso neanche una goccia, feci capriole di gioia, interiori ovviamente.
Devo dire che la gioia a volte è un po’ faticosa, visto che il contenitore di “sogni acquatici” era decisamente zozzino e ripulirlo, pur con l’aiuto della mia compagna, non fu cosa da poco.
Anche portarlo a casa, io “fortunatamente” abito al terzo piano senza ascensore, pur con l’aiuto dei miei nerboruti figlioli e di qualche bestemmia, fu un’esperienza poco gradevole.
Ancora non avevamo finito di trovargli una sistemazione provvisoria che già la domanda delle domande invadeva la mia mente: quali pesci prendere?
Rispetto agli anni dai quali arrivavo, come acquariofilo intendo, il mondo era cambiato, il WEB era diventato un immenso archivio di dati fruibili da tutti, anche per gli appassionati di pesci.
Viste le mie tendenze integraliste fui subito attirato da un sito molto “moraleggiante”, “Acquariofilia consapevole”, che riuscì a rinfocolare il senso di colpa per gli atteggiamenti spesso superficiali che avevo avuto nel passato con gli amici pinnati.
Così decisi, come per espiare, che avrei allevato il più bistrattato dei nostri ospiti, il Carassius auratus, meglio conosciuto come pesce rosso.
Allestii la vasca, ma ero preoccupato che, vecchia com’era, non reggesse a lungo la pressione dell’acqua, e allora, per ridurre i rischi, decisi di riempirla solo per 32 centimetri di altezza in luogo dei 40 potenziali.
Ma come ben sapete la stupidità umana, o almeno di alcuni umani, è pressoché infinita, perché dopo tanta prudenza posta per la colonna d’acqua, collocai la vasca su una scrivania, stile moderno, con “gambette” sottili sottili, non certo adatta a sopportare un peso così elevato.
Fortunatamente, pur rimanendo su quell’appoggio instabile per due anni abbondanti, non successe mai niente di irreparabile.
Poi, non pago di come avessi già donato favori alla dea della bischeraggine, dovendo recuperare il tempo perduto, decisi di popolare la vasca dopo una sola settimana di maturazione. Miei cari lettori, siete diffidati dall’esprimere giudizi sulla mia condotta.
Causa la rarefazione dei negozi d’acquari, per l’acquisto dei pescetti rossi mi recai in un grande centro commerciale naturalistico, Viridea. Volevo prendere dei normalissimi Carassi, ma era disponibile solo la varietà Cometa, e io, pur di non tornare a casa a mani vuote, acquistai quattro esemplari con la coda di dimensioni normali.
Trascorsero così due anni in cui mi limitai a trattare i miei rossi il meglio possibile, ma senza ancora rendermi conto che il mondo dell’acquariofilia era cambiato, eccome se era cambiato.
Solo un episodio ruppe la monotonia di quel periodo. Una mia collega, appassionata di viaggi esotici, involontariamente divenne il tramite di una esperienza abbastanza insolita.
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