Breve ma ambiziosa storia di un acquariofilo
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Breve ma ambiziosa storia di un acquariofilo
L'idea era quella di scrivere un articolo che parlasse della storia del nostro hobby a partire dalla fine degli anni sessanta, storia raccontata attraverso gli occhi di un vecchio appassionato, che nel caso specifico sarei io.
La materia è, a mio avviso, interessante, ma non essendo il classico articolo "tecnico" richiede una capacità narrativa un po' più impegnativa, e nutrendo qualche dubbio sulle mie doti dantesche, ho pensato di presentarlo qui nel salotto, tanto per capire come va. D'altronde l'argomento è salottiero!
Fra l'altro se qui in AF ci sono altri appassionati diversamente giovani come il sottoscritto, potranno aiutarmi nel ricordare i tanti dettagli dimenticati.
Aggiunto dopo 3 minuti 47 secondi:
Breve ma ambiziosa storia di un acquariofilo
Dalla fine degli anni sessanta alla prima metà degli anni settanta
Era il 1969, tutto il mondo stava con il naso all’insù per guardare Neil Armostrong passeggiare sulla Luna, e io, giovane studentino delle medie inferiori, ricevevo uno splendido regalo dal mio zio “amazzonico”.
Ora, non che io abbia una qualche parentela sud americana, ma era mio zio che, per cercare lavoro e scappare da una fidanzata troppo esigente, all’inizio degli anni sessanta era emigrato in Brasile. Durante quella permanenza in terra straniera era anche andato a cercare l’oro nella giungla amazzonica.
E chissà perché, quando fece ritorno in Italia, decise di regalare a quel suo nipote, che a stento aveva visto poco più che neonato, un pezzo di quell’avventura amazzonica che tanto gli era rimasta nel cuore: un acquario, una porzione di micro mondo acquatico.
Certo sarà facile immaginare la mia gioia di fronte a quel meraviglioso regalo, che giungeva in anni dove esistevano soltanto il primo e il secondo canale della RAI, ovviamente in bianco e nero.
Ma al di là delle note di colore, vi chiederete: com’era un acquario di fine anni sessanta?
Non ricordo assolutamente di quali pesci fosse popolato e tanto meno di quali piante, però sono in grado di ricordare che fosse in vetro con tanto di intelaiatura metallica, presumo in alluminio. Era un 30 litri dalle seguenti misure: 50 cm di lunghezza per 20 cm di larghezza per 30 cm di altezza. Era chiuso, con tanto di plafoniera e riscaldatore. Il filtraggio era affidato a un filtro sotto sabbia azionato da un rumoroso aeratore.
Purtroppo, com’è facile immaginare, i poveri pesciolini morirono in men che non si dica e quel piccolo sogno finì a prendere polvere in cantina.
Passò qualche anno, non molti, che noi studenti delle medie superiori venivamo travolti dall’onda lunga del “Maggio francese” e affascinati dalle letture di “Cent’anni di solitudine” e, per chi come me, amante della natura, da “L’anello di re Salomone”. Fu così che recuperai l’acquarietto da 30 litri di mio zio.
Torino, come penso anche le altre città, negli anni settanta era piena di piccoli negozi d’acquariofilia ed io, ancora molto sprovveduto, mi recai in un esercizio sito presso alla centrale piazza Statuto, proprio davanti all’omonima e tragica sala cinematografica, dove anni dopo in un incendio moriranno oltre 50 persone.
Continua...
La materia è, a mio avviso, interessante, ma non essendo il classico articolo "tecnico" richiede una capacità narrativa un po' più impegnativa, e nutrendo qualche dubbio sulle mie doti dantesche, ho pensato di presentarlo qui nel salotto, tanto per capire come va. D'altronde l'argomento è salottiero!
Fra l'altro se qui in AF ci sono altri appassionati diversamente giovani come il sottoscritto, potranno aiutarmi nel ricordare i tanti dettagli dimenticati.
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Breve ma ambiziosa storia di un acquariofilo
Dalla fine degli anni sessanta alla prima metà degli anni settanta
Era il 1969, tutto il mondo stava con il naso all’insù per guardare Neil Armostrong passeggiare sulla Luna, e io, giovane studentino delle medie inferiori, ricevevo uno splendido regalo dal mio zio “amazzonico”.
Ora, non che io abbia una qualche parentela sud americana, ma era mio zio che, per cercare lavoro e scappare da una fidanzata troppo esigente, all’inizio degli anni sessanta era emigrato in Brasile. Durante quella permanenza in terra straniera era anche andato a cercare l’oro nella giungla amazzonica.
E chissà perché, quando fece ritorno in Italia, decise di regalare a quel suo nipote, che a stento aveva visto poco più che neonato, un pezzo di quell’avventura amazzonica che tanto gli era rimasta nel cuore: un acquario, una porzione di micro mondo acquatico.
Certo sarà facile immaginare la mia gioia di fronte a quel meraviglioso regalo, che giungeva in anni dove esistevano soltanto il primo e il secondo canale della RAI, ovviamente in bianco e nero.
Ma al di là delle note di colore, vi chiederete: com’era un acquario di fine anni sessanta?
Non ricordo assolutamente di quali pesci fosse popolato e tanto meno di quali piante, però sono in grado di ricordare che fosse in vetro con tanto di intelaiatura metallica, presumo in alluminio. Era un 30 litri dalle seguenti misure: 50 cm di lunghezza per 20 cm di larghezza per 30 cm di altezza. Era chiuso, con tanto di plafoniera e riscaldatore. Il filtraggio era affidato a un filtro sotto sabbia azionato da un rumoroso aeratore.
Purtroppo, com’è facile immaginare, i poveri pesciolini morirono in men che non si dica e quel piccolo sogno finì a prendere polvere in cantina.
Passò qualche anno, non molti, che noi studenti delle medie superiori venivamo travolti dall’onda lunga del “Maggio francese” e affascinati dalle letture di “Cent’anni di solitudine” e, per chi come me, amante della natura, da “L’anello di re Salomone”. Fu così che recuperai l’acquarietto da 30 litri di mio zio.
Torino, come penso anche le altre città, negli anni settanta era piena di piccoli negozi d’acquariofilia ed io, ancora molto sprovveduto, mi recai in un esercizio sito presso alla centrale piazza Statuto, proprio davanti all’omonima e tragica sala cinematografica, dove anni dopo in un incendio moriranno oltre 50 persone.
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- Claudio80 (07/01/2020, 20:16) • fla973 (07/01/2020, 20:39) • GiovanniR (08/01/2020, 22:09) • riccardo269 (12/01/2020, 22:11)
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Adesso siamo curiosi! 

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Breve ma ambiziosa storia di un acquariofilo
Dalla fine degli anni sessanta alla prima metà degli anni settanta (seconda parte)
Essendo più grandicello questa volta gli abitanti della mia vaschetta non morirono subito, ma furono comunque involontari interpreti di uno strano e inquietante fenomeno: ogni giorno ne spariva uno. Dovetti arrivare agli ultimi tre o quattro esemplari per capire che cosa stesse succedendo, o meglio chi fosse l’assassino.
Quello che inizialmente era un pescetto nerastro, insignificante, piccolo come gli altri, si era trasformato in un energumeno e… e divorava gli sfortunati coinquilini.
Fu allora che mi resi conto che non sapevo neanche il nome dei pesci che ospitavo, figuriamoci le esigenze. Capii che occorreva documentarsi.
Ma come? Internet emetteva i primi vagiti, pensate che è del 1973 la prima connessione fra l’Europa (Gran Bretagna e Norvegia) e le università americane. Anche la carta stampata era piuttosto scarsa, si c’era qualche libro, ma esisteva una sola rivista, la mitica “Aquarium”. Chiedere al negoziante che mi aveva rifilato i pesci? Per carità, anche se giovane e ingenuo avevo capito che quel rivenditore era meglio lasciarlo perdere.
In un modo o nell’altro riuscii a identificare il mio spietato killer, che nel frattempo era rimasto l’unico abitante della vasca: un Astronotus ocellatus.
Era chiaro che non potevo continuare a tenerlo in una vaschetta da 30 litri e allora, dando fondo alle mie esigue riserve monetarie, acquistai una “enorme” vasca in tutto vetro da 60 litri (60 x 30 x 35 h). Ma evidentemente non avevo ancora capito bene la lezione, così che feci? Presi compagnia per Oscarino, un altro Astronotus. Occhio, non si accettano commenti sulla mia grande avvedutezza!
Come facilmente prevedibile anche il sessanta litri si rivelò dopo breve tempo assolutamente inadeguato.
La fortuna volle che un conoscente mi suggerisse un negozio un po' scalcinato in via Ormea, nella quale straordinariamente, per lo meno per Torino, le meretrici esercitavano in pieno giorno. Ma ritorniamo al nostro negozio, ove era possibile reperire indifferentemente da un Cockerino a uno Scalare.
In ogni caso, per un buon prezzo, riuscii a procurarmi un usato da ben 100 litri, un vero e proprio mare.
L’allestimento di quest’ultima vasca fu un po’ meno casuale, qualcosa incominciavo ad imparare: un po’ parlando con i negozianti, dai quali qualche consiglio utile si riusciva a racimolare e molto altro dalla rivista Aquarium della quale ansioso aspettavo l’uscita mensile per poi “divorarla” avidamente.
Continua...
Essendo più grandicello questa volta gli abitanti della mia vaschetta non morirono subito, ma furono comunque involontari interpreti di uno strano e inquietante fenomeno: ogni giorno ne spariva uno. Dovetti arrivare agli ultimi tre o quattro esemplari per capire che cosa stesse succedendo, o meglio chi fosse l’assassino.
Quello che inizialmente era un pescetto nerastro, insignificante, piccolo come gli altri, si era trasformato in un energumeno e… e divorava gli sfortunati coinquilini.
Fu allora che mi resi conto che non sapevo neanche il nome dei pesci che ospitavo, figuriamoci le esigenze. Capii che occorreva documentarsi.
Ma come? Internet emetteva i primi vagiti, pensate che è del 1973 la prima connessione fra l’Europa (Gran Bretagna e Norvegia) e le università americane. Anche la carta stampata era piuttosto scarsa, si c’era qualche libro, ma esisteva una sola rivista, la mitica “Aquarium”. Chiedere al negoziante che mi aveva rifilato i pesci? Per carità, anche se giovane e ingenuo avevo capito che quel rivenditore era meglio lasciarlo perdere.
In un modo o nell’altro riuscii a identificare il mio spietato killer, che nel frattempo era rimasto l’unico abitante della vasca: un Astronotus ocellatus.
Era chiaro che non potevo continuare a tenerlo in una vaschetta da 30 litri e allora, dando fondo alle mie esigue riserve monetarie, acquistai una “enorme” vasca in tutto vetro da 60 litri (60 x 30 x 35 h). Ma evidentemente non avevo ancora capito bene la lezione, così che feci? Presi compagnia per Oscarino, un altro Astronotus. Occhio, non si accettano commenti sulla mia grande avvedutezza!
Come facilmente prevedibile anche il sessanta litri si rivelò dopo breve tempo assolutamente inadeguato.
La fortuna volle che un conoscente mi suggerisse un negozio un po' scalcinato in via Ormea, nella quale straordinariamente, per lo meno per Torino, le meretrici esercitavano in pieno giorno. Ma ritorniamo al nostro negozio, ove era possibile reperire indifferentemente da un Cockerino a uno Scalare.
In ogni caso, per un buon prezzo, riuscii a procurarmi un usato da ben 100 litri, un vero e proprio mare.
L’allestimento di quest’ultima vasca fu un po’ meno casuale, qualcosa incominciavo ad imparare: un po’ parlando con i negozianti, dai quali qualche consiglio utile si riusciva a racimolare e molto altro dalla rivista Aquarium della quale ansioso aspettavo l’uscita mensile per poi “divorarla” avidamente.
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- GiovanniR (08/01/2020, 22:12) • Paky (12/01/2020, 10:04) • riccardo269 (12/01/2020, 22:11)
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La seconda metà degli anni settanta (prima parte)
Fu proprio dalle pagine della preziosa rivista che venni a conoscenza della feroce disputa che all’epoca divideva i fautori del filtro meccanico esterno dai fans del filtro biologico interno. Era uno scontro senza esclusione di colpi. Per i propugnatori del filtro esterno i filtri biologici altro non erano che cloache a cielo aperto; di contro gli avversari erano convinti che dietro i filtri esterni ci fosse l’ombra lunga della Eheim, ipotesi, per i “biologici”, avvalorata dal fatto che lo stesso Aquarium fosse chiaramente schierato dalla parte dei “meccanici”. Certo la rivista, non facendo mistero di avere grandi simpatie per l’altro colosso dell’industria acquariofilia, la Tetra, qualche sospetto lo sollevava.
Personalmente ero un simpatizzante del filtro biologico, ma le mie scarse finanze continuavano a relegarmi all’uso del ben più economico filtro sotto sabbia che, devo dire, non funzionava poi tanto male.
Rimanendo sempre in tema industriale, incominciavano ad affermarsi anche aziende italiane, come la Sicce (1973) e la Askoll (1978).
Eravamo ormai giunti al di là della prima metà degli anni settanta, avevo raggiunto il traguardo della maggiore età e con i miei amici avevamo affittato una stanza dove ci trovavamo ad ascoltare “Ancora tu” di Battisti e “Margherita” di Cocciante, oltre a trovare lo spazio per allestire il mio 60 litri, ormai libero dagli Astronotus.
Devo ammettere che non realizzai un capolavoro, anzi trattavasi di un vero e proprio fritto misto. Così la punizione, ho il dubbio divina, si abbatté inesorabile su di me, o meglio sul vetro del mio povero acquario sotto la forma di un tronco di almeno 40 chili, lasciato lì da qualche amico “disordinato”. La fortuna volle che stessi entrando nella stanzetta proprio nel momento in cui si compiva l’infausto evento e che il vetro frontale, pur spaccandosi, rimanesse semi integro nella parte bassa, conservando così una decina di centimetri d’acqua e permettendomi di trasferire i poveri pescetti in un secchio.
Vi assicuro che anche soli sessanta litri che si riversano sul pavimento sono uno spettacolo agghiacciante.
Adesso non saprei se fu la diretta conseguenza dell’incidente del tronco, ma proprio in quel periodo presi finalmente contatto con quello che sarebbe stato il negoziante d’acquari della mia vita. Lo cito per nome: Andriolo, glielo devo, fra l’altro era già vecchio quando io ero un ragazzo, ed è morto già da alcuni anni.
Ogni volta che andavo nel suo negozio rimanevo sempre una due ore a parlare di pesci e della vita. Sicuramente ha rappresentato un salto di qualità nelle mie conoscenze d’acquariofilo.
Credo, anche se qui il ricordo si confonde, che fu proprio Andriolo a parlarmi di un’altra rivista, chiamata Acquari e natura, non so se addirittura precedente ad Aquarium, ma che poi fu fagocitata da quest’ultima.
Continua...
Fu proprio dalle pagine della preziosa rivista che venni a conoscenza della feroce disputa che all’epoca divideva i fautori del filtro meccanico esterno dai fans del filtro biologico interno. Era uno scontro senza esclusione di colpi. Per i propugnatori del filtro esterno i filtri biologici altro non erano che cloache a cielo aperto; di contro gli avversari erano convinti che dietro i filtri esterni ci fosse l’ombra lunga della Eheim, ipotesi, per i “biologici”, avvalorata dal fatto che lo stesso Aquarium fosse chiaramente schierato dalla parte dei “meccanici”. Certo la rivista, non facendo mistero di avere grandi simpatie per l’altro colosso dell’industria acquariofilia, la Tetra, qualche sospetto lo sollevava.
Personalmente ero un simpatizzante del filtro biologico, ma le mie scarse finanze continuavano a relegarmi all’uso del ben più economico filtro sotto sabbia che, devo dire, non funzionava poi tanto male.
Rimanendo sempre in tema industriale, incominciavano ad affermarsi anche aziende italiane, come la Sicce (1973) e la Askoll (1978).
Eravamo ormai giunti al di là della prima metà degli anni settanta, avevo raggiunto il traguardo della maggiore età e con i miei amici avevamo affittato una stanza dove ci trovavamo ad ascoltare “Ancora tu” di Battisti e “Margherita” di Cocciante, oltre a trovare lo spazio per allestire il mio 60 litri, ormai libero dagli Astronotus.
Devo ammettere che non realizzai un capolavoro, anzi trattavasi di un vero e proprio fritto misto. Così la punizione, ho il dubbio divina, si abbatté inesorabile su di me, o meglio sul vetro del mio povero acquario sotto la forma di un tronco di almeno 40 chili, lasciato lì da qualche amico “disordinato”. La fortuna volle che stessi entrando nella stanzetta proprio nel momento in cui si compiva l’infausto evento e che il vetro frontale, pur spaccandosi, rimanesse semi integro nella parte bassa, conservando così una decina di centimetri d’acqua e permettendomi di trasferire i poveri pescetti in un secchio.
Vi assicuro che anche soli sessanta litri che si riversano sul pavimento sono uno spettacolo agghiacciante.
Adesso non saprei se fu la diretta conseguenza dell’incidente del tronco, ma proprio in quel periodo presi finalmente contatto con quello che sarebbe stato il negoziante d’acquari della mia vita. Lo cito per nome: Andriolo, glielo devo, fra l’altro era già vecchio quando io ero un ragazzo, ed è morto già da alcuni anni.
Ogni volta che andavo nel suo negozio rimanevo sempre una due ore a parlare di pesci e della vita. Sicuramente ha rappresentato un salto di qualità nelle mie conoscenze d’acquariofilo.
Credo, anche se qui il ricordo si confonde, che fu proprio Andriolo a parlarmi di un’altra rivista, chiamata Acquari e natura, non so se addirittura precedente ad Aquarium, ma che poi fu fagocitata da quest’ultima.
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- GiovanniR (09/01/2020, 22:44) • riccardo269 (12/01/2020, 22:12)
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La seconda metà degli anni settanta (seconda parte)
E sempre con il mio amico negoziante realizzai un sogno temerario, la costruzione di una vasca da 300 litri (150 cm x 50 cm x 50 cm di h dei quali 40 utili per il riempimento). Utilizzò cristalli da un centimetro di spessore, e come sistema di tiranti, oltre i due per sorreggere i neon, utilizzo delle listelle di vetro per percorrevano internamente, sul fondo, tutto il perimetro della vasca.
Come filtro, avendo speso ogni mia Lira, mi dovetti ancora adattare a un sotto sabbia, un modello componibile della Tetra con il quale ricoprivo tre quarti della superfice della vasca. L’impianto d’illuminazione era composto da due neon della Gro-Lux da 40 watt l’uno, lunghi 120 centimetri.
La popolazione era composta dai miei due vecchi Astronotus e da altri due esemplari che trovai delle stesse dimensioni, cioè intorno ai 15 centimetri. Ovviamente nella vasca c’erano ben poche chance per le piante, salvo qualche sparuta Vallisneria.
Nonostante la cattiva fama fra i quattro Oscar i rapporti erano abbastanza amichevoli e posso assicurarvi essere uno spettacolo impagabile. Ma nonostante tutta la fascinazione che esercitavano su di me capii ben presto che anche un trecento litri, per simili bestioni, era inadeguato. Ah, e il filtro sotto sabbia, pur con fatica e aiutato da frequenti cambi d’acqua, riusciva a fare il suo mestiere.
Così, alla fine degli anni settanta, ascoltando The Wall dei Pink Floyd nel nuovissimo walkman della Sony, grazie agli Astronotus, riuscii a realizzare una delle più belle esperienze della mia vita di acquariofilo. Dovevo trovare una sistemazione ai miei pescioni e certo non volevo riportarli in un negozio, in che mani sarebbero finiti? Fu allora che un’amica ebbe un’idea geniale, contattare lo zoo di Torino, che al suo interno ospitava anche un magnifico acquario. Genova era ancora lontano e l’acquario di Torino, oltre a svariate vasche da migliaia di litri ospitava anche delle ricostruzioni di biotopi con tanto di parte emersa, un vero e proprio spettacolo.
Sempre la mia amica, io non ne avevo il coraggio, contattò telefonicamente il vice direttore dello zoo, il quale accettò senza problemi di riceverci con tanto di carico “organico”. Così, per la prima volta, invece di guardare le stupende vasche dal vetro frontale potevo passeggiare nel retro di quei meravigliosi acquari.
Ai miei Astronotus toccò una sistemazione veramente principesca, il biorama amazzonico.
Nel frattempo, avrò avuto vent’anni, lavoravo come doposcuolista in un istituto privato, ove mi fu affidata una quinta elementare e, oltre a far fare i compiti e giocare nel cortile, la mia collega del mattino, la maestra titolare, mi dette la possibilità d’insegnare una materia: scienze.
Era la materia giusta per me e neanche a farlo apposta, non so dove, ma trovai un acquarietto in tutto vetro da trenta litri da tenere in classe. Stavo già per popolarlo di pesci, quando un amico, conoscendo le mie inclinazioni animaliste, mi porto un Orbettino che aveva catturato durante una gita in campagna. Commutai così in tutta fretta la vasca in un mini terrario, che attirò subito molte attenzioni da parte dei ragazzetti.
Mi piace pensare che quell’iniziativa abbia fatto amare un po’ di più la natura ai miei piccoli allievi, e che magari qualcuno di loro sia anche diventato un bravo acquariofilo, se non addirittura un moderatore di uno dei forum di Acquariofilia facile…
Continua ...
E sempre con il mio amico negoziante realizzai un sogno temerario, la costruzione di una vasca da 300 litri (150 cm x 50 cm x 50 cm di h dei quali 40 utili per il riempimento). Utilizzò cristalli da un centimetro di spessore, e come sistema di tiranti, oltre i due per sorreggere i neon, utilizzo delle listelle di vetro per percorrevano internamente, sul fondo, tutto il perimetro della vasca.
Come filtro, avendo speso ogni mia Lira, mi dovetti ancora adattare a un sotto sabbia, un modello componibile della Tetra con il quale ricoprivo tre quarti della superfice della vasca. L’impianto d’illuminazione era composto da due neon della Gro-Lux da 40 watt l’uno, lunghi 120 centimetri.
La popolazione era composta dai miei due vecchi Astronotus e da altri due esemplari che trovai delle stesse dimensioni, cioè intorno ai 15 centimetri. Ovviamente nella vasca c’erano ben poche chance per le piante, salvo qualche sparuta Vallisneria.
Nonostante la cattiva fama fra i quattro Oscar i rapporti erano abbastanza amichevoli e posso assicurarvi essere uno spettacolo impagabile. Ma nonostante tutta la fascinazione che esercitavano su di me capii ben presto che anche un trecento litri, per simili bestioni, era inadeguato. Ah, e il filtro sotto sabbia, pur con fatica e aiutato da frequenti cambi d’acqua, riusciva a fare il suo mestiere.
Così, alla fine degli anni settanta, ascoltando The Wall dei Pink Floyd nel nuovissimo walkman della Sony, grazie agli Astronotus, riuscii a realizzare una delle più belle esperienze della mia vita di acquariofilo. Dovevo trovare una sistemazione ai miei pescioni e certo non volevo riportarli in un negozio, in che mani sarebbero finiti? Fu allora che un’amica ebbe un’idea geniale, contattare lo zoo di Torino, che al suo interno ospitava anche un magnifico acquario. Genova era ancora lontano e l’acquario di Torino, oltre a svariate vasche da migliaia di litri ospitava anche delle ricostruzioni di biotopi con tanto di parte emersa, un vero e proprio spettacolo.
Sempre la mia amica, io non ne avevo il coraggio, contattò telefonicamente il vice direttore dello zoo, il quale accettò senza problemi di riceverci con tanto di carico “organico”. Così, per la prima volta, invece di guardare le stupende vasche dal vetro frontale potevo passeggiare nel retro di quei meravigliosi acquari.
Ai miei Astronotus toccò una sistemazione veramente principesca, il biorama amazzonico.
Nel frattempo, avrò avuto vent’anni, lavoravo come doposcuolista in un istituto privato, ove mi fu affidata una quinta elementare e, oltre a far fare i compiti e giocare nel cortile, la mia collega del mattino, la maestra titolare, mi dette la possibilità d’insegnare una materia: scienze.
Era la materia giusta per me e neanche a farlo apposta, non so dove, ma trovai un acquarietto in tutto vetro da trenta litri da tenere in classe. Stavo già per popolarlo di pesci, quando un amico, conoscendo le mie inclinazioni animaliste, mi porto un Orbettino che aveva catturato durante una gita in campagna. Commutai così in tutta fretta la vasca in un mini terrario, che attirò subito molte attenzioni da parte dei ragazzetti.
Mi piace pensare che quell’iniziativa abbia fatto amare un po’ di più la natura ai miei piccoli allievi, e che magari qualcuno di loro sia anche diventato un bravo acquariofilo, se non addirittura un moderatore di uno dei forum di Acquariofilia facile…
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- GiovanniR (12/01/2020, 13:20) • riccardo269 (12/01/2020, 22:18)
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Reazione:
"Mmmh...Astronotus ocellatus...vediamo che pesce è
"
Ricerca su Google.
Oscar.
Oh, no!

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Oscar.
Oh, no!


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